Enzo Sellerio, Cefalù, 1958 |
La veicolazione delle
informazioni e del sapere nel corso degli ultimi anni è stata
interessata da una rivoluzione copernicana. Dall'invenzione dei
procedimenti di stampa e per secoli, i percorsi di gestione della
conoscenza sono passati sulla pagina stampata con un meccanismo
consolidato, su cui spesso insisteva il filtro riconosciuto di una
comunità scientifica a garantire la qualità della proposta. Dalla
scrittura all'arte, dalla scienza alla musica, tutti i percorsi di
conoscenza potevano essere diffusi, oltre le possibilità offerte
all'originale di circolare, attraverso le pagine dei libri. Le
incisioni che riproducevano opere d'arte, realizzate talora da
artisti di bella levatura, consentivano una diffusione delle opere
che agli originali erano negate. Gli artisti, attraverso le
incisioni, potevano confrontarsi con i maestri del passato ma anche
con i loro contemporanei, contribuendo alla costruzione di un'arte
corale, fatta di aggregazioni e fratture ma tutta coinvolta in una
sorta di immaginario condiviso, in cui modi e tecniche di
rappresentazione fissavano elementi comuni e riconosciuti. Allo
stesso modo anche la musica trovava posto nelle pagine, coprendo
distanze che cori e musicisti non avrebbero saputo affrontare. La
pagina era dunque il veicolatore d'eccellenza e il perfezionamento
progressivo dei processi di stampa l'ha collocata ai vertici dei
meccanismi di gestione dell'informazione per secoli. Almeno fino alla
recente rivoluzione attivata dall'avvento delle tecnologie digitali e
dello sviluppo della rete. Al presente le possibilità di
veicolazione di immagini e testi sono esponenzialmente aumentate ma
il percorso è stato così repentino da generare seri problemi di
gestione. La comunità scientifica che in qualche modo poteva
filtrare i contenuti dell'editoria tradizionale non è più
riconoscibile nelle maglie della rete e una iperproduzione di
contenuti, a volte senza verifiche e senza metodo, ha invaso i motori
di ricerca diventando un problema nell'esercizio della didattica.
Tutto sembra facilmente fruibile ma, come vedremo, pur riconoscendo
la formidabile opportunità delle nuove tecnologie e lontani da
qualsivoglia stimolo al luddismo, dobbiamo riconoscere che è
necessario trovare un percorso di avvicinamento alle nuove modalità
di gestione delle conoscenza che si palesano. Nello specifico della
fotografia, la stessa si era costruita il suo percorso tecnico e
contenutistico sulla stretta relazione tra scatto e fotografia
stampata e quindi in significativo sincrono con i sistemi di
veicolazione tradizionali e ha a sua volta dovuto misurarsi con
l'avvento del digitale. L'estensione a fasce sempre più ampie di
utenza, dell'utilizzo della macchina fotografica, iniziata con
l'avvento del cosiddetto formato Leica, ha trovato il suo culmine
nella realizzazione di tecnologie digitali a basso costo. Le stampe
hanno lasciato il posto ai file e hanno riempito enormi spazi di
memoria virtuale. Perduto il vincolo di spesa che obbligava i
fotografi, costretti a confrontarsi con i costi della pellicola e
della stampa, a una scelta attenta dei soggetti in un percorso
critico complesso attivato già in fase di inquadratura, tutto è
stato ripreso, fotografato, accumulato in milioni di immagini che
saranno la dannazione degli storici della fotografia del terzo
millennio, perdendo parte della loro efficacia di sintesi.
La didattica si era a sua
volta sviluppata nel tempo su un criterio testuale di riferimento al
quale venivano affiancate illustrazioni e, successivamente,
fotografie. L'utilizzo delle immagini fotografiche in campo
didattico, se si esclude la manualistica specificamente riferita agli
studi storico artistici, all'inizio era piuttosto riconducibile a
ragioni meramente formali. Le fotografie evocavano e spesso avevano
funzioni addirittura puramente esornative che le includevano nella
pagina non come portatrici di ulteriori contenuti rispetto al testo
proposto. Solo negli ultimi vent'anni, indicativamente, le fotografie
sono entrate da riconosciute comprimarie nella narrazione didattica.
Soprattutto grazie agli storici che, sempre più attenti ad includere
una galassia complessa di fonti che passa, oltre che dalle foto, dal
cinema e dalla canzone e arriva alla pubblicità e al fumetto, hanno
cominciato a proporre nei loro manuali la lettura di questi
materiali, affiancandoli alla didattica di tradizione. A differenza
degli altri media però, la fotografia nel corso dei decenni ha
viaggiato in editoria mutilata da alcune significative informazioni
di supporto che per la didattica risultano fondamentali. Il percorso
di didattica della storia riferibile alla fotografia è segnato da
profonde contraddizioni, prima fra tutte la presenza ossessiva e
capillare di immagini fotografiche che insistono sulla quotidianità
di discenti e docenti, in contrapposizione con le gravi lacune in
merito a una nozione minima, da parte di una larghissima parte dei
fruitori, di quelli che sono i complessi meccanismi narrativi del
medium in oggetto. Non vi è quasi mai consapevolezza
dell'autorialità degli scatti e meno che mai delle grammatiche, sia
tecniche sia espressive, che sottendono al complesso linguaggio della
fotografia. Nel corso di questi anni, in seno a strutture didattiche
diverse, dalle aule universitarie alle scuole superiori di diverso
indirizzo, è capitato, parlando di fotografia, di sottoporre agli
studenti un test. Viene chiesto di segnalare tre scrittori italiani
del Novecento e, a seguire, tre registi, tre pittori e tre
giornalisti e via di questo passo alla ricerca di icone delle diverse
discipline. Le risposte non mancano mai e danno ragione di una
varietà di riferimenti significativa. Successivamente si chiede di
indicare i nomi di tre fotografi italiani e, se si esclude qualche
reminiscenza recuperata più propriamente alla nozione della storia
della pubblicità piuttosto che della fotografia, la larga
maggioranza, quasi la totalità, non è in grado di fornire una
risposta. Se le pagine contenute nelle antologie letterarie non
facessero debita menzione degli autori dei singoli brani,
collocandoli criticamente nelle coordinate croniche e topiche di
competenza, i materiali proposti perderebbero significativamente di
efficacia didattica. Le fotografie nei manuali scolastici erano e
sono ancora spesso proposte senza riferirle a fondamentali
informazioni didascaliche che comprendano l'autore e la collocazione
nello spazio e nel tempo dello scatto. Questa propensione degli
apparati didattici è forse figlia di un atteggiamento
antropologicamente radicato in Italia. La paternità dello scatto,
nel corso della storia di questo medium nel nostro paese,
spesso non è sembrata degna di particolari attenzioni; a partire
dagli anni Cinquanta i fotografi sono stati protagonisti di una
battaglia durissima per far garantire palese paternità ai loro
scatti pubblicati nell'editoria periodica e nei volumi compresi nei
cataloghi degli editori nazionali. Lunghe dispute anche legali hanno
visto contrapporsi i fotografi e il mondo dell'editoria. Senza
parlare poi del mercato della fotografia e del collezionismo, che
solo in tempi relativamente recenti, sulla scorta di altre esperienze
consolidate all'estero e soprattutto grazie all'attenzione di
acquirenti stranieri, ha cominciato a muovere i suoi passi nel nostro
paese con l'apertura di gallerie dedicate. Si pensi, a corollario di
questa riflessione per sommi capi sulla consapevolezza della
fotografia come fatto autoriale in Italia, che l'Istituto Centrale
per il Catalogo e la Documentazione ha approntato la scheda F,
destinata alla catalogazione dei beni fotografici, solo in tempi
relativamente recenti, quando le campagne di catalogazione erano già
state avviate massicciamente sul territorio da anni. Ovviamente però
non intendiamo banalizzare con la segnalazione di attitudini tardive
e scarsa consapevolezza dei media tradizionali e delle istituzioni i
motivi di un atteggiamento culturale nei confronti della fotografia
che ha radici complesse e forse non del tutto esplorate. Riconducendo
però la nostra riflessione ai criteri della didattica al presente è
evidente che se, come accennato, i contenuti visuali tenderanno a
prevalere su quelli testuali sarà necessario costruire una vera e
propria grammatica nuova delle immagini fotografiche. L'impresa
risulta decisamente problematica, considerando che la fotografia a
sua volta sta subendo una mutazione di mercato che si riflette
inevitabilmente anche sull'editoria. Le agenzie tradizionali e il
lavoro dei fotografi a forte impronta autoriale sono stati affiancati
e superati dalla proposta di banche immagini a basso costo che sono
la negazione delle informazioni che riteniamo necessarie per dare
alla fotografia la possibilità di essere considerata un contenuto e
non un ornamento. La proposta di immagini on line ha apparati
didascalici carenti, una tecnica spesso affidata a materiali a uso
amatoriale e frequentemente i pochi dati sull'autorialità portano a
nomi di utenti, spesso di fantasia, che sono lì fondamentalmente per
assolvere agli obblighi minimi del percettore di redditi. Succede
dunque che lo stesso scatto sia accreditato a autori diversi su
banche immagini diverse e la confusione che si genera è
considerevole. Senza parlare dell'omologazione della narrazione per
immagini che, privilegiando quelle a basso costo, finisce per
proporre sul mercato prodotti di editori diversi ma omologati a un
unico scialbo criterio narrativo. Del resto siamo esposti a una sorta
di inarrestabile fotorrea. Immagini vengono continuamente impresse
sui diversi supporti digitali, dalla macchina fotografica al
telefonino e al tablet e forse è questa una delle ragioni profonde
della scarsa propensione a ritenere la fotografia “degna” come
altri media. Gli studenti realizzano a loro volta e si scambiano in
rete centinaia di immagini e quel gesto ripetuto tende a banalizzare
l'immagine come racconto, restituendo la sensazione che nulla vi è
di eccezionale in una cosa che si ritiene di poter replicare a
piacere con risultati analoghi all'autore pubblicato sul giornale. La
riproducibilità del gesto più che dell'immagine sembra il reale
problema della fotografia nella contemporaneità, perché pare
diluire il senso della meraviglia generato da una volta affrescata o
da una pagina di romanzo. Alcuni editori e alcuni esperti della
didattica hanno però raccolto la sfida. Si tratta di scendere
davvero in un'arena in cui i media sono alleati e avversari, si
tratta di riuscire a comporre un percorso narrativo che sappia
generare la stessa distanza che passa tra il processo di
alfabetizzazione e le pagine di un grande romanzo. Lo sforzo del
didatta oggi è quello di valorizzare i suoi strumenti mediatici,
restituendo loro una dignità spesso negata e costruendo una cultura
critica dell'immagine che non sia più appannaggio di piccole
comunità specialistiche ma accenda piuttosto i motori critici delle
nuove generazioni, consentendogli di guardare alla fotografia, sia
quella all'interno di un periodico sia quella proposta nelle sale di
un museo o nei cassetti digitali di un archivio, con una
consapevolezza nuova. In quest'ottica la storia, la narrazione della
storia contemporanea attraverso la fotografia, diventa un campo
d’azione privilegiato in cui esercitare i criteri del vero e del
falso, della fonte nel suo tempo e della fonte al presente, della
fotografia stessa come agente di storia. La didattica passerà
quindi, una volta che si sia acquisita consapevolezza con il racconto
autoriale, dalle memorie domestiche che diventano, nell’acquisizione
del tempo della storia, memorie collettive, che misurano le vicende
complesse della contemporaneità mettendo sul tavolo avi partigiani e
avi repubblichini recuperati dagli albi familiari. Una modalità di
narrazione del domestico che è condivisa, che ha dei luoghi
frequentati e imprescindibili che sono tutti da riscoprire. Ancora
una volta la fotografia è regina e reietta, perché è di certo tra
i media quello più utilizzata, soprattutto a partire dagli anni
Cinquanta, per la celebrazione della memoria domestica ma anche
quello su cui si esercita pochissima consapevolezza dei criteri
narrativi. Lo storico della fotografia ben conosce il meccanismo che
genera da periodo a periodo le modalità di rappresentazione nella
ritrattistica o nella foto di cerimonia ma per la didattica sarebbe
fondamentale individuare, e ci si lavora da qualche anno, alcune
immagini segnatempo, alcune foto miliari, che possano generare un
efficace immaginario condiviso.
Il percorso da attivare
con la didattica è dunque di ricollocazione della fotografia nel suo
ruolo di narratrice, recuperando anche tutti quei dati riferiti che
fino a oggi si ritenevano spesso superflui. Il tutto contribuirà
alla costruzione di un immaginario iconico che sia assimilabile a
quello della produzione storico artistica e che ha reso nel tempo
facilmente riconoscibili opere come la Gioconda o Guernica, trovando
nella fotografia, restituita compiutamente al suo criterio narrativo,
una formidabile alleata per affrontare l'era dei contenuti visuali.