Nella cantina di un palazzone
tutti
i gattini senza padrone
organizzarono
una riunione
per
precisare la situazione.
Quarantaquattro
gatti,
in
fila per sei col resto di due,
si
unirono compatti
in
fila per sei col resto di due
coi
baffi allineati,
in
fila per sei col resto di due
le
code attorcigliate
in
fila per sei col resto di due.
Sei
per sette quarantadue
più
due quarantaquattro.
Loro
chiedevano a tutti i bambini,
che
sono amici di tutti i gattini,
un
pasto al giorno e all’occasione,
poter
dormire sulle poltrone!...
…
naturalmente tutti i bambini
tutte
le code potevan tirare
ogni
momento e a loro piacere,
con
tutti quanti giocherellare…
Quando
alla fine della riunione
fu
definita la situazione
andò
in giardino tutto il plotone
di
quei gattini senza padrone.
Alla decima edizione dello Zecchino
d’oro (1) vince Quarantaquattro gatti,
cantata dalla piccola Barbara Ferigo. L’anno è il 1968 e quei gattini che si
riuniscono nella cantina di un palazzone già ci raccontano l’Italia che, a Miracolo
economico bell’e finito, fa i conti con un’edilizia popolare che ha visto
crescere nelle periferie delle grandi città, nel nome di speculatori e
faccendieri, immensi quartieri dormitorio. Ariempire quei palazzoni è arrivata
la manodopera a basso costo, che soprattutto tra gli anni Cinquanta e i
Sessanta ha abbandonato le campagne. Per inseguire il sogno di una vita
migliore. E i gatti? Hanno fatto immediatamente loro la nuova dimensione urbana
e sanno come muoversi in quel ritrovo sotterraneo. Sono felini del loro tempo.
La riunione è, il testo risulta esplicito in tal senso, organizzata, e serve a
fare il punto sulla situazione, sul presente di randagi costretti a fare i
conti con una quotidianità senza certezze. E parte un ritornello che è già incedere
a tempo di marcia, di tarantella, più che di corteo, efficace nella sua nota
surreale. Meno didascalico di
(…) compagni dai campi e dalle officine
prendete
la falce e portate il martello
scendiamo
giù in piazza picchiamo con quello
scendiamo
giù in piazza e affossiamo il sistema (…)
Capita spesso di sentirla in giro
questa canzone in quegli anni.
Vero inno del '68 fu però Contessa di Paolo Pietrangeli, uno
studente comunista lettore di "Classe Operaia" e di "Operai e
capitale", che la scrive nel maggio 1966 durante l'occupazione
dell'Università di Roma seguita all'uccisione dello studente Paolo Rossi da
parte dei fascisti, avvenuta il 27 aprile. E la scrive in una notte, prendendo
spunto dalle conversazioni che una certa vecchia borghesia faceva a proposito
di quell'occupazione e di pretese orge sessuali e dalla cronaca di un piccolo
sciopero avutosi a Roma in una fabbrichetta, dove il padrone, certo Aldo, aveva
chiamato la polizia contro i suoi operai che facevano picchettaggio. (2)
Sta di fatto che, a distanza di quarant’anni, i gatti
marcianti e rivendicanti si sono ritagliati la loro bella funzione iconica e,
nel loro proporsi matematico, sembrano davvero aver trovato un appiglio
mnemonico formidabile. Nella memoria condivisa a Contessa non è andata altrettanto bene, almeno in base
all’esperienza personale, visto che mio figlio, reduce di scuola materna
recente, canta ancora le gesta dei gatti sediziosi ma non sa niente dell’industria di Aldo. Qui si potrebbe
aprire il baratro del dibattito sull’istruzione in Italia ma siamo ingaggiati
in ben altro impegno e passiamo oltre. Torniamo ai nostri gatti. Essi, i
felini, intavolano un piano di trattative, una sorta di piattaforma sindacale
che vogliamo immaginare portata avanti da un gattone baffuto, che anche
l’iconografia vuole la sua parte. La loro controparte sono i bambini, l’utente
finale direbbero quelli del marketing, per cui si saltano genialmente tutti i
passaggi di mercato e le intermediazioni. Dal produttore di fusa al consumatore
di code. E la richiesta è vitto e alloggio, casa e pane. Nella migliore
tradizione di quei giorni contestatori e di piazza appunto. Ovviamente non si
pretende la gratuità di quelle concessioni ma si cerca di addivenire a un
accordo, che stabilisca un reciproco vantaggio senza ledere la dignità di
nessuno. Addirittura si riconosce come bene di scambio il piacere, individuato
nella pratica diffusa tra i cuccioli d’uomo di divertirsi lasciandosi scappare
anche qualche piccola angheria ai danni della classe felina. Stabilito il piano
delle trattative, i gatti escono in strada, abbandonano la sotterranea
sedizione e marciano per le strade. E forse nell’ultimo verso si raccoglie
nella sua completezza l’intera epoca, mentre si dichiara che i gatti suddetti
non soggiacciono alla volontà di nessun padrone.
La riflessione su Quarantaquattro
gatti e il suo tempo serve a introdurre il senso che ci siamo riproposti di
dare a questo viaggio su pagina attraverso mezzo secolo della nostra storia con
l’ausilio delle canzoni. Negli ultimi anni lo storico si è trovato nella
necessità di ridefinire il suo approccio metodologico, tenendo conto della
molteplice proposta mediatica. Cinema, letteratura, televisione, rete,
fotografia, solo per citarne alcune, sono titolari di un loro linguaggio che,
oltre a farsi prevalente, ridisegna, con le interazioni tra i diversi ambiti,
scenari complessi. La sfida deve essere raccolta dallo storico, che da queste
nuove fonti può attingere all’identità profonda di una collettività. Nel nostro
caso le canzoni interrogate attivano un percorso a ritroso che le ricolloca nel
loro tempo di gestione e produzione ma sollecitano anche una riflessione
sull’insistenza di quei versi e quei ritornelli sul presente o in altre fasi
storiche rispetto a quelle della realizzazione. Lo sviluppo tecnologico è la
chiave di volta di questo tipo di ricerca sulla canzone, consentendo di
recuperare anche una parte consistente del patrimonio orale che non era stato
trascritto ma che trova testimonianza in lacche e nastri.
Innanzitutto, come abbiamo
detto, c’è l’effettiva difficoltà di studiare la storia attraverso un documento
così complesso. Una canzone è composta da un impianto musicale, da un testo,
dalla voce del cantante, dalle sonorità, dai supporti attraverso cui si diffonde
nella società. (3)
Il problema che si sono trovati ad affrontare gli
storici che per primi si sono misurati con la canzone come fonte è legato
essenzialmente alla possibilità che l’analisi, riferendosi prevalentemente alla
parte testuale della canzone, finisca per escludere la struttura sonora che è
elemento portante del documento sonoro. In altri nostri lavori abbiamo per
questo affiancato al volume un supporto digitale che proponesse le canzoni
trattate nel volume cartaceo. Disguidi interpretativi possono nascere dalla
riduzione della canzone alla mera analisi testuale, mentre bene possiamo
immaginare che la stessa è il prodotto dell’interazione di musica, testo e
interpretazione. A questo si può ovviare grazie agli spartiti pubblicati e
soprattutto all’ampia disponibilità di fruizione offerta dai media. In questo
senso auspichiamo che questo nostro viaggio per immagini sonore nell’Italia
degli ultimi cinquant’anni diventi il motore di una ricerca libera, che possa
partire dai materiali proposti e portare il lettore a costruire un suo autonomo
percorso. Intendiamo utilizzare la canzone che, con un termine improprio ma
colloquialmente comodo, fa riferimento al repertorio dei cantautori, ma più
propriamente ci rivolgeremo alla produzione sonora di artisti singoli e gruppi,
che declinino, nel loro percorso creativo, contenuti che possano risultare
utili per la lettura di un epoca. Tutte le canzoni sono fonte efficace, ne fa
fede la digressione su Quarantaquattro
gatti, che è esegeta del suo tempo alla stregua di Papaveri e papere cantata da Nilla Pizzi nel 1952
Lo sai che i papaveri
son alti, alti, alti
e tu sei piccolina
e tu sei piccolina(4)
o di Borghesia
cantata da Claudio Lolli venti anni dopo
Vecchia piccola borghesia
vecchia gente di casa mia,
non so dire se fai più rabbia,
pena, schifo o malinconia (5)
Lo storico Giovanni De Luna, in un saggio (4), che è
un riferimento metodologico per tutti quelli che intendano confrontarsi con la
storia attraverso le cosiddette fonti mediatiche, definisce efficacemente i
criteri della ricerca. Superata la visione positivista dello storico, inteso
come un ordinatore di documenti, che interagisce con gli stessi con un ruolo
prettamente tecnico, che ne azzera la dimensione soggettiva, De Luna auspica la
presa di responsabilità del ricercatore. Si tratta dunque di mettersi
dichiaratamente in gioco, per quelli che sono gli strumenti legati all’analisi
documentale ma anche sulla base di nuove responsabilità acquisite. Lo storico è
ora chiamato a un ruolo complesso:
crea le fonti, crea il fatto
storico, si propone come un intellettuale che contribuisce a creare identità
collettive (6)
Lo storico dunque assume consapevolmente il proprio
vissuto e la propria personalità come parte integrante del proprio progetto di
ricerca. A garanzia della scientificità di questo approccio l’impegno
responsabile dello storico deve essere rivolto all’attenzione con cui si
interrogano le fonti, definendo compiutamente il proprio percorso metodologico
nell’interazione tra fonti, ipotesi interpretative e soggettività. La sinergia di
questi elementi porta all’elaborazione di un percorso nella storia che è
eminentemente un percorso narrativo. Lo storico deve raccontare efficacemente.
è proprio nella storia che si fa
racconto che si annida il rischio della frigidità intellettuale dello storico,
della sua incapacità di creare i personaggi dopo aver creato i fatti e le
fonti. (7)
Partendo da questo criterio metodologico, abbiamo
deciso di costruire un percorso nella storia italiana degli ultimi cinquant’anni
che fosse anche un viaggio emotivo. Le canzoni da utilizzare sono innumerevoli,
abbiamo anzi sottolineato che tutte le canzoni servirebbero alla nostra causa,
e per quanti sforzi si possano fare ci sarà sempre qualcosa di più efficace e
evocativo che non è stato citato. A questi punto, piuttosto che costruire una
griglia di selezione dei brani, farraginosa e inevitabilmente destinata a
rivelare i suoi limiti, abbiamo deciso di procedere nella selezione con un
criterio prevalentemente emozionale, che è poi uno dei motori fondamentali per
la fruizione delle canzoni. Per ogni periodo, dagli anni Sessanta a oggi,
proporremo delle canzoni che saranno utilizzate perché trasferiscono
efficacemente alcuni aspetti di lettura del tempo a cui intendiamo relazionarle.
Ci saranno brani che ci racconteranno il processo di industrializzazione degli
anni del Miracolo economico e altre che sapranno restituirci i riferimenti
appropriati per raccontare il passaggio tra la Prima e la Seconda repubblica.
Il criterio di gestione cronologica delle fonti ci consente di raccontare la
mafia degli anni Ottanta con una canzone scritta vent’anni dopo e gli anni del
Boom economico partendo dal racconto di un film girato nel decennio successivo.
Abbiamo però cercato di restringere l’ambito rivolgendoci prevalentemente alla
canzone autoriale, ovvero a quei brani che, sia per quel che concerne lo
spartito sia per il testo, attivano un significativo criterio narrativo e
testimoniale. Siamo ben consci dell’ambiguità della definizione di presunta
autorialità, intesa come discrimine tra la canzone densa di contenuti e quella
più leggera. Del resto, in altro ambito, ma sempre confrontandosi con la produzione
mediatica, lo stesso legislatore s’è trovato di fronte a questo imbarazzo. Come
distinguere, in relazione alla tutela del diritto d’autore, lo scatto
fotografico eseguito dal grande fotografo da quell’altro, magari altrettanto
efficace dal punto di vista narrativo, scattato dal turista di passaggio. La
legge arriva a distinguere tra opera
dell’ingegno e semplice fotografia,
specificando che la prima è il risultato di un processo intellettuale
complesso, l’altra è data da un concomitanza piuttosto occasionale di passione
e fortuna, non rilevandosi nella semplice fotografia un cursus honorum del realizzante che può farla assurgere a opera
riconosciuta e tutelata (9). Questo
lo segnaliamo per rendere esplicita la difficoltà di definire opportuni
discrimini nell’ ambito della produzione artistica. Resta il fatto che tutte le
canzoni sono d’autore e anche tutte le fotografie a ben vedere. Ci rendiamo
quindi conto che già la definizione autoriale presta il fianco e ingenera equivoci. Se, invece che sulla pagina,
fossimo seduti a un tavolo, ben saldi al vincolo amicale e a piatti e bicchieri
colmi, si potrebbe dire “…insomma, ci siamo capiti…”. Così non è, e allora,
sfuggendo anche alla trappola della definizione cantautore, per dar migliore
ragione del nostro non criterio di selezione delle canzoni, possiamo solo
invitarvi a esplorare queste pagine. In quest’ottica ha un senso partire
proprio dagli anni Sessanta, quando la canzone, svincolata dall’ambito
prevalentemente sanremese, acquista vigore nuovo. Diventa anche autoriale.
A questo punto si può provare a sovrapporre, a quelle
proposte in queste pagine, le vostre più efficaci immagini sonore e mnemoniche,
in una catena di riferimenti infinita. Ripartireste magari da Quarantaquattro gatti, saltando i
riferimenti politici che, a nostro giudizio, non erano così intenzionali in chi
ha scritto il pezzo ma piuttosto davano conto del linguaggio di quei giorni.
Per la stessa ragione, siamo sempre nel maggio 1968, nelle pagine di Topolino compaiono storie intitolate Paperino e i nipotini protestatari (10). E proprio riferiti all’autore di Quarantaquattro gatti potreste scoprire
che il maestro Pippo Casarini, oggi ottantaquattrenne, ha una biografia che da
sola è iconica di cinquant’anni della nostra storia. Alla fine della Seconda
guerra mondiale, partecipe dell’euforia di quei giorni di ricostruzione, intraprende
una vita avventurosa e nomade, suonando nei locali notturni italiani e europei.
Arriverà a vivere anche tre anni a Calcutta dove, con la sua musica, accompagna
le ballerine inglesi del Blue Bell Girls.
Casarini ha all’attivo oltre cento pezzi e già nel 1946, mentre l’Italia si sta
ancora scrollando di dosso la polvere dei bombardamenti, su una riviera
adriatica ancora lontana dall’essere la meta del turismo di massa che
conosciamo, impazza Spirù, il suo
ballabile più celebre. Tornato in patria dai vagabondaggi artistici che lo
hanno portato in giro per il mondo, negli anni Cinquanta, scorazza per la
provincia in una Seicento gravata sul portapacchi, allora si diceva imperiale,
dalla mole e dal peso di un contrabbasso. L’utilitaria e l’impegno incessante
con i locali italiani sono già segnale di Miracolo economico in corso. A
quarant’anni il maestro sente che è ora di cambiar vita. Il bisogno di concrete
certezze, il porto sicuro del posto fisso diventano l’urgenza di Casarini e di
moltissimi italiani. Il diploma preso al conservatorio, in una parabola che è
tutta nella costruzione del ceto medio borghese di quegli anni, torna buono per
insegnare musica nelle scuole. Ancora i provveditorati non dovevano accollarsi
il compito di tenere in piedi la potente macchina del precariato che esprimono
al presente. Sta di fatto che Casarini, ottenuto l’insegnamento in una scuola
media del modenese, non ha voglia di rassegnarsi a una vita tutta casa e
cattedra. La sera ripassa con le dita sulla tastiera del piano e cerca di farsi
venire un’idea. Finchè gli capita per le mani il bando del concorso dello
Zecchino d’oro. Quarantaquattro perchè tanti sono i suoi anni mentre scrive la
canzone. Gatti perché sono la sua passione, rinnovata in quei giorni, così dice
l’agiografo, da una visita romana a parenti in cui aveva visto i felini
acciambellati al sole tra i resti archeologici. Formidabile souvenir d’Italie davvero. E da qui il
testo e certa evocazione alla protesta che in quei giorni monta. Il maestro
viveva a partire dalla fine degli anni Cinquanta a Modena, che in fondo è a un
tiro di schioppo da Reggio Emilia e… Forse stiamo forzando la mano. Allora, per
dar senso compiuto al nostro esplorare, si potrebbe focalizzare l’attenzione
sulla piccola esecutrice del brano, quella Barbara Ferigo portata a Bologna da
Gorizia, città capitata sui bordi dei due blocchi postbellici, grossolanamente
divisa sulla carta senza rispetto di catasti e parentele, in nome di un nuovo
ordine mondiale. In funzione di quel fronteggiarsi a tendere i nervi allo
spasimo, che fu l’essenza della guerra fredda. Quanto si potrebbe ancora
raccontare partendo da lì e arrivando magari al coro bolognese dell’Antoniano,
di marcatissimo riferimento cattolico, specchio di un modo di concepire la
televisione, l’informazione, la socialità. A questo punto non ci resta che
invitarvi a entrare, coi modi che perdonerete goffi di un imbonitore da
baraccone, in questo viaggio di suoni e memoria. Vorremmo però lasciarvi con un
altro indizio per il vostro percorso personale. Il maestro Casarini ci riprova
con lo Zecchino d’oro del 1974, presentando un brano intitolato Nozze d’argento. Non passa nemmeno la
selezione. Già, quello era l’anno del referendum sul divorzio (11).
(…) La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso (…) (12)
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione, nessuno si senta escluso (…) (12)
(1)
Lo Zecchino d’oro è una rassegna canora per bambini che prese il
via a partire dal 1959. Le canzoni erano eseguite da bambini e supportate, a
partire dal 1961, dal piccolo coro dell’Antoniano di Bologna. Arrivato fino ai
giorni nostri, lo spettacolo ebbe tra gli anni Sessanta e i Settanta un enorme
successo, testimoniato all’epoca anche
dalla fortuna discografica di alcune delle canzoni proposte.
(2)
Cesare Bermani, Il Nuovo
canzoniere italiano, il canto sociale e il movimento, in Nanni Balestrini
(a cura di), L’orda d’oro, Milano,
Feltrinelli, 1997, pag. 96
(3)
Marco Peroni, Il nostro
concerto, Firenze, La Nuova Italia, 2001, pag.2. Questo volume, in edizione
ampliata, è stato successivamente ripubblicato da Bruno Mondadori nel 2004.
(4)
Nilla Pizzi, Papaveri e
papere, 1952
(5)
Claudio Lolli, Borghesia,
in Aspettando Godot, 1972
(6)
Giovanni De Luna, La
passione e la ragione, Firenze, La Nuova Italia, 2001. Questo volume, in
edizione ampliata, è stato successivamente ripubblicato da Bruno Mondadori nel
2004.
(7)
Giovanni De Luna La passione
e la ragione, Firenze, La Nuova Italia, pg 44
(8) Giovanni De
Luna La passione e la ragione,
Firenze, La Nuova Italia, pg 51
(9) L'opera fotografica è stata
contemplata nell'ambito delle opere protette dalla legge sul diritto d'autore
soltanto nel 1979 dalla legge 399/78 e del D.P.R 19/79, in via interpretativa
Cass. 1988/84 fondava tale distinzione sull'elemento della creatività dell'opera
frutto dell'ingegno dell'autore. Lo stesso criterio fu adottato dalla già
citata pronuncia di Cassazione n. 8186 del 4 Luglio 1992 per la quale "Nella disciplina del diritto d'autore di cui
alla legge 22 Aprile 1941 n.633, l'opera fotografica …gode della piena
protezione accordata dalla legge, comprensiva della tutela del cosiddetto
diritto morale d'autore, qualora presenti valore artistico e connotati di
creatività, mentre beneficia della più limitata tutela di cui ai successivi
artt. 87 e seguenti (in tema di diritti connessi con il diritto di autore),
quando configuri un mero atto riproduttivo privo dei suddetti requisiti.".
(10)
Paperino e i nipotini protestatari, in Topolino, 26 maggio 1968, pgg 3-7
(11)
Il 12 maggio 1974 gli
italiani sono convocati alle urne per decidere se abrogare o meno la legge
Fortuna-Baslini del 1970, con la quale era stato introdotto in Italia il
divorzio.
(12)
Francesco De Gregori, La
storia, in Scacchi e Tarocchi,
1985
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