Il professionismo in fotografia si è svelato, nel
corso dei passaggi storici attraverso il Novecento, come una dimensione
eclettica che continuamente deve misurarsi con il mercato e con le evoluzioni
tecniche. La moda, la foto industriale, il design, la politica sono ambiti che
sanno ancora una volta svelare l’efficacia innegabile del mezzo fotografico
nell’epoca della comunicazione di massa. La possibilità estesa a tutti di
realizzare immagini si amplifica nell’era della fotografia digitale, stravolgendo
i criteri di gestione dell’immagine professionale ma anche il rapporto dei
mezzi d’informazione con il prodotto foto. Vale la pena fare una riflessione
sulla fotografia come prodotto del presente. Con l’affermazione dell’immagine
digitale, che consente una produzione di immagini altissima a costi contenuti e
una altrettanto rapida veicolazione delle stesse, l’ambito professionale ha
dovuto far fronte a nuove problematiche. La questione centrale dall’inizio era
proprio la riconoscibilità autoriale. Tre sono le peculiarità che identificano
il professionista nella massa fotografante: l’occhio, che consente di scegliere
l’inquadratura più efficace per raccontare con le immagini e per catturare
emozioni; la capacità di utilizzare efficacemente strumenti tecnici complessi;
il confronto con il mercato. Con la fotografia digitale la stessa proprietà di
un’immagine, attestata dal possesso del negativo originale, entra in crisi,
rendendo meno definito il concetto di titolarità autoriale, per il quale tanto
si sono battuti i fotografi professionisti nel corso di tutto il Novecento. Le
fotografie reperite in rete possono essere scaricate e manipolate con una
facilità mai prima registrata con i supporti tradizionali, e anche i materiali
cartacei possono essere riprodotti con una fedeltà che con i sistemi analogici
richiedeva una certa esperienza e attrezzature specifiche che ora sono
compendiate efficacemente da scanner a prezzi abbordabili e da programmi di
fotoritocco alla portata di una buona parte degli utenti di attrezzature
fotografiche.
La realizzazione di immagini di qualità con gli
strumenti disponibili sul mercato delle macchine digitali, che solo fino a
pochissimo tempo fa offrivano prestazioni ancora lontane dai risultati
ottenibili con le pellicole, consentono ora un incredibile controllo
dell’immagine e l’impiego di attrezzature assai meno dispendiose e ingombranti
di quelle tradizionali. Senza contare che non c’è la necessità di avere tra lo
scatto e il prodotto finito la mediazione del laboratorio, perché il file è
disponibile da subito, e inoltre può essere migliorato e modificato dai
programmi studiati allo scopo, Le esigenze professionali fanno però in modo che
anche in questo ambito le specializzazioni determinino l’utilizzo di
attrezzature più sofisticate, giustificando gli investimenti con il rientro
commerciale. Di pari passo con l’evoluzione tecnica, il professionista lavora
sui moduli espressivi e sullo stile che in qualche modo possa caratterizzare il
suo lavoro, cercando di connotare i suoi scatti attraverso una precisa personalità
autoriale. Innegabilmente però, aldilà degli esiti della produzione di immagini
professionali, la nostra epoca si caratterizza per una produzione enorme di
fotografie e con questo dato deve confrontarsi necessariamente anche il
professionista.
New York, undici settembre 2001, nella mattinata due
aerei si schiantano in rapida successione contro le due torri del World Trade
Center. A pilotare i velivoli, in un’azione combinata tremendamente efficace, è
un gruppo di terroristi islamici. La nostra analisi di questo episodio si
limiterà alla sua rappresentazione attraverso la realizzazione di immagini.
Nella sua natura più strettamente dinamica, l’azione dell’aereo che impatta
sull’edificio è caratterizzata da due elementi fondamentali che sono anche
ispiratori delle soluzioni tattiche adottate dal commando: la rapidità e
l’effetto sorpresa. L’aereo arriva veloce e inaspettato sul suo obiettivo,
impedendo l’attivazione di qualsiasi contromisura dei sistemi di sicurezza. Un'
azione così repentina non si può certo documentare agevolmente con una macchina
fotografica. Nessun fotografo, per quanto ben scortato dal meraviglioso
“istinto dell’attimo” potrebbe farsi trovare pronto, con le attrezzature
sapientemente disposte, teso a fermare l’immagine dell’aereo che impatta contro
l’edificio. Il professionista, e ben lo sanno quelli specializzati in foto
naturalistica, si apposta valutando la probabilità che davanti ai suoi
obiettivi si verifichi l’evento che dia un senso di eccezionalità ai suoi
scatti o che almeno possa descrivere significativamente il contesto che intende
raccontare con i suoi scatti. Ai fotoamatori che catturano frequenti immagini,
a volte interessantissime, che pure resteranno nei cassetti ignare dei giochi
del mercato, ai dilettanti presi da passione passeggera per la realizzazione
delle fotografie, a quelli che girano con una macchina fotografica in tasca
perché non si può mai sapere, resta da giocare la partita del caso, con un
calcolo probabilistico che ai giorni nostri gli assegna già il premio per la
puntuale documentazione grazie solo al loro numero enorme rispetto alla schiera
selezionata dei professionisti.
E infatti dell’aereo piantato sul fianco del
grattacielo e nella polpa dello sgomento di milioni di persone abbiamo
testimonianza grazie a quelli che erano lì, in vacanza, concentrati a
raccogliere schegge di memoria per implementare archivi domestici. Il rumore
assordante dell’aereo che piomba sulla città e gli sguardi che d’istinto si
rivolgono al cielo e l’inquadratura della famiglia sotto le Twin Towers che si
perde perché l’obiettivo segue l’attenzione di chi scatta e guarda verso il
cielo, verso l’incredibile: nelle videocamere riempite di sorrisi turistici,
nelle fotocamere usa e getta, nelle webcam puntate sulla città statunitense
paradigma dell’Occidente, quel momento viene impresso e passa dai bollettini su
Internet ai notiziari e ai giornali e la qualità è poca cosa ma nemmeno dalle
immagini di partigiani impiccati, scattate scostando appena un lembo del cappotto
davanti all’obiettivo clandestino, ci si attendono esposizioni calibrate,
dettagli e definizione. Eppure di quel breve attimo, non certo dell’agonia dei
due grattacieli e delle facce dei soccorritori e dei corpi di quelli che
scelgono di lanciarsi nel vuoto per non morire arsi vivi, tutte cose che già
avevano addosso le lenti rapide, esperte dei professionisti, rimane memoria
grazie al lavoro capillare di catalogazione dei gesti minimi che è
caratteristica del nostro presente e che si affida alla moltitudine dei
praticanti della fotografia. Già a partire dal secondo impatto, gli obiettivi
dei grandi professionisti sono tutti puntati sulla scena, dando prova
dell’efficienza della macchina complessa del mondo dell’informazione. Sui
giornali e nelle mostre allestite successivamente, le immagini dei fotoreporter
più o meno improvvisati e quelle dei professionisti viaggeranno in parallelo, e
sarà difficile distinguerle tra loro.
Proviamo ora a spostare l’attenzione sulla realtà
italiana. “Un morto, quasi seicento feriti (560), oltre duecento persone arrestate
(219), circa cinquanta miliardi di danni: ecco le cifre del G8. Ecco i numeri
del vertice degli otto paesi più industrializzati, andato in scena a Genova da
venerdì 20 luglio a domenica 22. Tre giorni di discussioni per i grandi della
terra, tre giorni segnati in maniera tragica dall’uccisione di un ragazzo di 23
anni, Carlo Giuliani, uno dei contestatori colpito venerdì pomeriggio da un
colpo di pistola esploso da un giovane carabiniere. La foto di questo ragazzo,
steso sul selciato di piazza Alimonda, con una pozza di sangue ad allargarsi
dietro la testa, le braccia a croce e un compagno che tenta di rianimarlo è il
simbolo di quello che è accaduto a Genova.” (1)
Genova nell’estate del 2001, in corrispondenza con il G8, che si è deciso
di tenere nel capoluogo ligure, è attraversata da aspri scontri. Come era già
accaduto nel luglio del 1960, stesso mese stesse scene per i carrugi genovesi,
gli scontri tra dimostranti e forze dell’ordine sono violenti. Il culmine di
questi eventi è l’uccisione del giovane Carlo Giuliani. La scena della tragedia
è in piazza Alimonda. Un fuoristrada dei carabinieri viene assaltato da un
gruppo di manifestanti. Dal finestrino rotto del veicolo spunta una mano che
stringe una pistola d’ordinanza. Un giovane a volto coperto, Carlo Giuliani
appunto, sta avanzando incontro al mezzo e ha tra le mani un’estintore che ha
appena raccolto da terra e che, nelle probabili intenzioni, sta cercando di
scagliare contro il fuoristrada dei carabinieri bloccato da un cassonetto.
Rimane freddato dal proiettile che lo colpisce allo zigomo. Ebbene, di quella
scena si scopriranno fotografie diverse, angolazioni e particolari che potranno
offrire indizi alla verità.
Tutte le inchieste, le analisi, le cronache dei giornali utilizzeranno le
immagini per spiegarsi e spiegare quei tragici secondi che passano tra il
momento in cui il ragazzo raccoglie l’estintore da terra e il momento in cui
giace immobile in una pozza di sangue(2). Perché di questo si tratta, di pochi
secondi che pure sono testimoniati con un’incredibile quantità di materiali
filmati e fotografie. Ancora una volta viene da chiedersi se per le vie del
capoluogo ligure in quella giornata si muovessero fotografi e videoperatori
dalla spiccatissima sensibilità, capaci di intuire la tragedia incombente e di
fermarla sulle pellicole e nelle schede di memoria o piuttosto la mole di
documenti fotografici prodotta in quelle ore era tale da farci pensare che di
tutti i momenti di quella giornata tragica ci siano immagini testimoni ora
conservate negli archivi istituzionali, nelle agenzie, negli schedari dei
professionisti, nelle sedi delle diverse compagini scese in piazza per
protestare e, infine, nei cassetti di casa. Addirittura la testimonianza che
pare nei giorni successivi più attendibile e che tutti i giornali riportano è
quella di un fotografo free lance (3), quasi che in quella moltitudine la sua possibilità esegetica fosse più
significativa proprio per l’abitudine del mestiere che la collettività pare
riconoscere. Quasi che, in quella moltitudine di testimoni sbigottiti,
quello che il fotografo vede e può raccontare sia per sua natura più affidabile
come documento. L’equivoco della foto come portatrice di verità pare
irrobustirsi col tempo. A dispetto delle acquisite consapevolezze di chi indaga
le fonti. A dispetto di chi resta in terra.
La conclusione di questa nostra riflessione ci porta ancora a
ritenere che non è così azzardato affermare che più che grandi fotografi
esistano grandi fotografie ma, nondimeno, certe figure autoriali hanno saputo
negli anni costruire un lessico complesso e raffinato che è diventato pagina
privilegiata per raccontare la nostra storia recente.
“Le immagini che nella società
moderna hanno un’autorità praticamente illimitata sono infatti soprattutto
immagini fotografiche, e la portata di questa autorità deriva dalle caratteristiche
proprie delle immagini prese da macchine fotografiche.” (4).
note
(1 1) Il G8 finisce nel sangue. Ucciso un manifestante. La Repubblica, 22 luglio 2001.
(2) 2) Una rassegna dei materiali
fotografici e video è contenuta in rete sul sitowww.piazzacarlogiuliani.org.
(4) 3) Un primo comunicato stampa
dell’ANSA, datato 20 luglio 2001, h. 20.16, recita:“Ho sentito due colpi. Pensavo fossero in aria invece ho visto cadere
un ragazzo”. Bruno Abile, fotografo freelance di Parigi, racconta la sparatoria
nella quale e' rimasto oggi ucciso un giovane a Genova. Questa testimonianza, arricchita da particolari, viene successivamente
riproposta da molti giornali italiani.
(5) 3) Addirittura l’esame autoptico della
salma di Carlo Giuliani, un documento possibilmente basato sull’analisi
scientifica, farà riferimento alla documentazione fotografica: Tenuto conto dell’altezza della vittima (165 cm) e della traiettoria
balistica del proiettile bisogna ritenere che il feritore fosse più alto del
Giuliani o meglio (alla luce anche della documentazione fotografica dei fatti)
fosse in posizione elevata rispetto alla vittima. (il verbale è consultabile per intero sul sitowww.piazzacarlogiuliani.org).
(6) 4) Susan Sontag, Sulla fotografia, Einaudi, Torino, 1992,
pag. 132.
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