martedì 24 settembre 2013

Fotografia e didattica. Una sfida.



Enzo Sellerio, Cefalù, 1958
La veicolazione delle informazioni e del sapere nel corso degli ultimi anni è stata interessata da una rivoluzione copernicana. Dall'invenzione dei procedimenti di stampa e per secoli, i percorsi di gestione della conoscenza sono passati sulla pagina stampata con un meccanismo consolidato, su cui spesso insisteva il filtro riconosciuto di una comunità scientifica a garantire la qualità della proposta. Dalla scrittura all'arte, dalla scienza alla musica, tutti i percorsi di conoscenza potevano essere diffusi, oltre le possibilità offerte all'originale di circolare, attraverso le pagine dei libri. Le incisioni che riproducevano opere d'arte, realizzate talora da artisti di bella levatura, consentivano una diffusione delle opere che agli originali erano negate. Gli artisti, attraverso le incisioni, potevano confrontarsi con i maestri del passato ma anche con i loro contemporanei, contribuendo alla costruzione di un'arte corale, fatta di aggregazioni e fratture ma tutta coinvolta in una sorta di immaginario condiviso, in cui modi e tecniche di rappresentazione fissavano elementi comuni e riconosciuti. Allo stesso modo anche la musica trovava posto nelle pagine, coprendo distanze che cori e musicisti non avrebbero saputo affrontare. La pagina era dunque il veicolatore d'eccellenza e il perfezionamento progressivo dei processi di stampa l'ha collocata ai vertici dei meccanismi di gestione dell'informazione per secoli. Almeno fino alla recente rivoluzione attivata dall'avvento delle tecnologie digitali e dello sviluppo della rete. Al presente le possibilità di veicolazione di immagini e testi sono esponenzialmente aumentate ma il percorso è stato così repentino da generare seri problemi di gestione. La comunità scientifica che in qualche modo poteva filtrare i contenuti dell'editoria tradizionale non è più riconoscibile nelle maglie della rete e una iperproduzione di contenuti, a volte senza verifiche e senza metodo, ha invaso i motori di ricerca diventando un problema nell'esercizio della didattica. Tutto sembra facilmente fruibile ma, come vedremo, pur riconoscendo la formidabile opportunità delle nuove tecnologie e lontani da qualsivoglia stimolo al luddismo, dobbiamo riconoscere che è necessario trovare un percorso di avvicinamento alle nuove modalità di gestione delle conoscenza che si palesano. Nello specifico della fotografia, la stessa si era costruita il suo percorso tecnico e contenutistico sulla stretta relazione tra scatto e fotografia stampata e quindi in significativo sincrono con i sistemi di veicolazione tradizionali e ha a sua volta dovuto misurarsi con l'avvento del digitale. L'estensione a fasce sempre più ampie di utenza, dell'utilizzo della macchina fotografica, iniziata con l'avvento del cosiddetto formato Leica, ha trovato il suo culmine nella realizzazione di tecnologie digitali a basso costo. Le stampe hanno lasciato il posto ai file e hanno riempito enormi spazi di memoria virtuale. Perduto il vincolo di spesa che obbligava i fotografi, costretti a confrontarsi con i costi della pellicola e della stampa, a una scelta attenta dei soggetti in un percorso critico complesso attivato già in fase di inquadratura, tutto è stato ripreso, fotografato, accumulato in milioni di immagini che saranno la dannazione degli storici della fotografia del terzo millennio, perdendo parte della loro efficacia di sintesi.
La didattica si era a sua volta sviluppata nel tempo su un criterio testuale di riferimento al quale venivano affiancate illustrazioni e, successivamente, fotografie. L'utilizzo delle immagini fotografiche in campo didattico, se si esclude la manualistica specificamente riferita agli studi storico artistici, all'inizio era piuttosto riconducibile a ragioni meramente formali. Le fotografie evocavano e spesso avevano funzioni addirittura puramente esornative che le includevano nella pagina non come portatrici di ulteriori contenuti rispetto al testo proposto. Solo negli ultimi vent'anni, indicativamente, le fotografie sono entrate da riconosciute comprimarie nella narrazione didattica. Soprattutto grazie agli storici che, sempre più attenti ad includere una galassia complessa di fonti che passa, oltre che dalle foto, dal cinema e dalla canzone e arriva alla pubblicità e al fumetto, hanno cominciato a proporre nei loro manuali la lettura di questi materiali, affiancandoli alla didattica di tradizione. A differenza degli altri media però, la fotografia nel corso dei decenni ha viaggiato in editoria mutilata da alcune significative informazioni di supporto che per la didattica risultano fondamentali. Il percorso di didattica della storia riferibile alla fotografia è segnato da profonde contraddizioni, prima fra tutte la presenza ossessiva e capillare di immagini fotografiche che insistono sulla quotidianità di discenti e docenti, in contrapposizione con le gravi lacune in merito a una nozione minima, da parte di una larghissima parte dei fruitori, di quelli che sono i complessi meccanismi narrativi del medium in oggetto. Non vi è quasi mai consapevolezza dell'autorialità degli scatti e meno che mai delle grammatiche, sia tecniche sia espressive, che sottendono al complesso linguaggio della fotografia. Nel corso di questi anni, in seno a strutture didattiche diverse, dalle aule universitarie alle scuole superiori di diverso indirizzo, è capitato, parlando di fotografia, di sottoporre agli studenti un test. Viene chiesto di segnalare tre scrittori italiani del Novecento e, a seguire, tre registi, tre pittori e tre giornalisti e via di questo passo alla ricerca di icone delle diverse discipline. Le risposte non mancano mai e danno ragione di una varietà di riferimenti significativa. Successivamente si chiede di indicare i nomi di tre fotografi italiani e, se si esclude qualche reminiscenza recuperata più propriamente alla nozione della storia della pubblicità piuttosto che della fotografia, la larga maggioranza, quasi la totalità, non è in grado di fornire una risposta. Se le pagine contenute nelle antologie letterarie non facessero debita menzione degli autori dei singoli brani, collocandoli criticamente nelle coordinate croniche e topiche di competenza, i materiali proposti perderebbero significativamente di efficacia didattica. Le fotografie nei manuali scolastici erano e sono ancora spesso proposte senza riferirle a fondamentali informazioni didascaliche che comprendano l'autore e la collocazione nello spazio e nel tempo dello scatto. Questa propensione degli apparati didattici è forse figlia di un atteggiamento antropologicamente radicato in Italia. La paternità dello scatto, nel corso della storia di questo medium nel nostro paese, spesso non è sembrata degna di particolari attenzioni; a partire dagli anni Cinquanta i fotografi sono stati protagonisti di una battaglia durissima per far garantire palese paternità ai loro scatti pubblicati nell'editoria periodica e nei volumi compresi nei cataloghi degli editori nazionali. Lunghe dispute anche legali hanno visto contrapporsi i fotografi e il mondo dell'editoria. Senza parlare poi del mercato della fotografia e del collezionismo, che solo in tempi relativamente recenti, sulla scorta di altre esperienze consolidate all'estero e soprattutto grazie all'attenzione di acquirenti stranieri, ha cominciato a muovere i suoi passi nel nostro paese con l'apertura di gallerie dedicate. Si pensi, a corollario di questa riflessione per sommi capi sulla consapevolezza della fotografia come fatto autoriale in Italia, che l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione ha approntato la scheda F, destinata alla catalogazione dei beni fotografici, solo in tempi relativamente recenti, quando le campagne di catalogazione erano già state avviate massicciamente sul territorio da anni. Ovviamente però non intendiamo banalizzare con la segnalazione di attitudini tardive e scarsa consapevolezza dei media tradizionali e delle istituzioni i motivi di un atteggiamento culturale nei confronti della fotografia che ha radici complesse e forse non del tutto esplorate. Riconducendo però la nostra riflessione ai criteri della didattica al presente è evidente che se, come accennato, i contenuti visuali tenderanno a prevalere su quelli testuali sarà necessario costruire una vera e propria grammatica nuova delle immagini fotografiche. L'impresa risulta decisamente problematica, considerando che la fotografia a sua volta sta subendo una mutazione di mercato che si riflette inevitabilmente anche sull'editoria. Le agenzie tradizionali e il lavoro dei fotografi a forte impronta autoriale sono stati affiancati e superati dalla proposta di banche immagini a basso costo che sono la negazione delle informazioni che riteniamo necessarie per dare alla fotografia la possibilità di essere considerata un contenuto e non un ornamento. La proposta di immagini on line ha apparati didascalici carenti, una tecnica spesso affidata a materiali a uso amatoriale e frequentemente i pochi dati sull'autorialità portano a nomi di utenti, spesso di fantasia, che sono lì fondamentalmente per assolvere agli obblighi minimi del percettore di redditi. Succede dunque che lo stesso scatto sia accreditato a autori diversi su banche immagini diverse e la confusione che si genera è considerevole. Senza parlare dell'omologazione della narrazione per immagini che, privilegiando quelle a basso costo, finisce per proporre sul mercato prodotti di editori diversi ma omologati a un unico scialbo criterio narrativo. Del resto siamo esposti a una sorta di inarrestabile fotorrea. Immagini vengono continuamente impresse sui diversi supporti digitali, dalla macchina fotografica al telefonino e al tablet e forse è questa una delle ragioni profonde della scarsa propensione a ritenere la fotografia “degna” come altri media. Gli studenti realizzano a loro volta e si scambiano in rete centinaia di immagini e quel gesto ripetuto tende a banalizzare l'immagine come racconto, restituendo la sensazione che nulla vi è di eccezionale in una cosa che si ritiene di poter replicare a piacere con risultati analoghi all'autore pubblicato sul giornale. La riproducibilità del gesto più che dell'immagine sembra il reale problema della fotografia nella contemporaneità, perché pare diluire il senso della meraviglia generato da una volta affrescata o da una pagina di romanzo. Alcuni editori e alcuni esperti della didattica hanno però raccolto la sfida. Si tratta di scendere davvero in un'arena in cui i media sono alleati e avversari, si tratta di riuscire a comporre un percorso narrativo che sappia generare la stessa distanza che passa tra il processo di alfabetizzazione e le pagine di un grande romanzo. Lo sforzo del didatta oggi è quello di valorizzare i suoi strumenti mediatici, restituendo loro una dignità spesso negata e costruendo una cultura critica dell'immagine che non sia più appannaggio di piccole comunità specialistiche ma accenda piuttosto i motori critici delle nuove generazioni, consentendogli di guardare alla fotografia, sia quella all'interno di un periodico sia quella proposta nelle sale di un museo o nei cassetti digitali di un archivio, con una consapevolezza nuova. In quest'ottica la storia, la narrazione della storia contemporanea attraverso la fotografia, diventa un campo d’azione privilegiato in cui esercitare i criteri del vero e del falso, della fonte nel suo tempo e della fonte al presente, della fotografia stessa come agente di storia. La didattica passerà quindi, una volta che si sia acquisita consapevolezza con il racconto autoriale, dalle memorie domestiche che diventano, nell’acquisizione del tempo della storia, memorie collettive, che misurano le vicende complesse della contemporaneità mettendo sul tavolo avi partigiani e avi repubblichini recuperati dagli albi familiari. Una modalità di narrazione del domestico che è condivisa, che ha dei luoghi frequentati e imprescindibili che sono tutti da riscoprire. Ancora una volta la fotografia è regina e reietta, perché è di certo tra i media quello più utilizzata, soprattutto a partire dagli anni Cinquanta, per la celebrazione della memoria domestica ma anche quello su cui si esercita pochissima consapevolezza dei criteri narrativi. Lo storico della fotografia ben conosce il meccanismo che genera da periodo a periodo le modalità di rappresentazione nella ritrattistica o nella foto di cerimonia ma per la didattica sarebbe fondamentale individuare, e ci si lavora da qualche anno, alcune immagini segnatempo, alcune foto miliari, che possano generare un efficace immaginario condiviso.

Il percorso da attivare con la didattica è dunque di ricollocazione della fotografia nel suo ruolo di narratrice, recuperando anche tutti quei dati riferiti che fino a oggi si ritenevano spesso superflui. Il tutto contribuirà alla costruzione di un immaginario iconico che sia assimilabile a quello della produzione storico artistica e che ha reso nel tempo facilmente riconoscibili opere come la Gioconda o Guernica, trovando nella fotografia, restituita compiutamente al suo criterio narrativo, una formidabile alleata per affrontare l'era dei contenuti visuali.






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